Il dilemma delle
centrali nucleari, della loro sicurezza e della loro affidabilità, ci viene
sovente esposto come legato in maniera indissolubile alla “tipologia
tecnologica” delle centrali stesse (di prima, di seconda, di terza
generazione…). Tutto ciò è indubbiamente realistico, ma viene abilmente
utilizzato dai politici, pro o contro il nucleare, per sostenerne o criticarne
la necessità; il tutto credo avvenga (almeno in questo caso) in ragionevole
buona fede.
Ma come può il
cittadino avere una propria opinione sul reale pericolo del fenomeno se poi
anche gli esperti hanno spesso pareri contrastanti? Per rendersene conto è
sufficiente andare su internet e visionare la miriade di articoli, interviste e
videointerviste anche a studiosi di sicura competenza nel merito per scoprire
l’assoluta discrepanza dei loro pareri.
E allora che fare? A
chi credere? Che provvedimento adottare per il bene del Paese (e del mondo
intero…)?
Premesso che se anche
non avessimo altri elementi di paragone, il fatto stesso di non averli dovrebbe
essere, a mio avviso, elemento di diniego all’utilizzo del nucleare. Tutto ciò
almeno fino a nuovi studi scientifici che ci facciano propendere, grazie alle
migliori conoscenze, verso l’opportunità di utilizzo o di abolizione
definitiva.
Vorrei in questa sede
tentare di fare il punto della situazione, senza farmi trascinare
dall’emotività che deriva dagli eventi recenti, cercando di esprimere un parere
scevro da dannose presunzioni e aperto alle critiche costruttive.
§
In tutti i processi
industriali e in tutti i prodotti della tecnologia avvengono dei progressivi
miglioramenti costruttivi che derivano dai nuovi studi e che vertono,
ovviamente, anche e soprattutto nell’esame delle esperienze (positive o
negative) del funzionamento dei modelli “precedenti”. In estrema sintesi tutto
ciò rappresenta “banalmente” l’evolversi della tecnologia!
Gli esempi sono
un’infinità in tutti i campi della tecnologia. Per citarne uno pensiamo ai
progressi raggiunti in campo aeronautico dai tempi dei fratelli Wright ad oggi.
Quante inevitabili vittime vi sono state però in quel settore?
Verrebbe da chiedersi
se e quando finisce la sperimentazione e se e quando possiamo considerare un
prodotto definitivamente sicuro. La risposta, mi spiace deludere i lettori, è:
MAI!
Prima di spiegare
questo aspetto, sicuramente controverso che starà facendo sobbalzare sulla
sedia anche qualche esperto e tanti sedicenti tali, voglio però raccontarvi una
breve storiella.
§
Tanti anni fa, quando
ero un giovane studente universitario, alla prima lezione di un corso
specialistico, si presentò in aula il docente che noi tutti conoscemmo per la prima
volta. Nel suo discorso introduttivo alla disciplina a noi ancora sconosciuta,
pronunciò una frase che lasciò di stucco un po’ tutti noi, studenti eredi di un
biennio durissimo con un imprinting a vocazione fortemente matematica, con una
mente non ancora rimodellata dagli insegnamenti che caratterizzano la mentalità
tipicamente ingegneristica. Insomma, eravamo ragazzi abituati a pensare in modo
razionale, dove due più due era pari a quattro e tanto bastava. Ecco, questo
eravamo. Il docente ad un certo punto pronunciò una frase che, semplificata,
poteva riassumersi così:
“Se non capitasse mai un
incidente aereo, se non affondasse mai nessuna nave, se non crollasse mai alcun
ponte, significherebbe che noi ingegneri non abbiamo capito molto dei metodi di
calcolo che utilizziamo”.
Noi tutti restammo
sbigottisti, convinti come eravamo che il prodotto tecnologico derivante da
rigorosi studi scientifici fosse “sicuro” per antonomasia. In realtà il nostro
buon docente, con la sua espressione un po’ “ad effetto” volle solamente
prepararci all’introduzione del concetto di probabilità e di “rischio
accettabile” che, sia pure con modalità anche molto differenti fra loro,
interessa sempre le metodologie di calcolo, praticamente in tutti i campi della
tecnologia.
Niente paura, non
intendo certo dilungarmi in tali disquisizioni scientifiche e probabilistiche,
ma voglio solamente prender spunto dalla frase del professore per chiarire un
concetto, lasciato in sospeso qualche riga sopra, dove dicevo che un prodotto
non possa definirsi MAI definitivamente sicuro.
Tutto ciò ha un senso
ed una sua valenza se ci mettiamo d’accordo sul significato dell’aggettivo
“sicuro”. Se, come credo avvenga nella mente di tanti, il concetto di sicurezza
rappresenta la “certezza matematica” che un evento non accada mai, allora non
esistono e non esisteranno mai tecnologie e prodotti assolutamente “sicuri”! Se
accettiamo che vi sia una probabilità, sia pure remota, in alcuni casi
remotissima, che un evento si verifichi, allora abbiamo adattato il concetto di
sicurezza ad un mondo reale, siamo passati da un concetto puramente teorico ad
un’applicazione pratica, con tutte le implicazioni scientifiche che ciò
comporta.
§
Alla luce di quanto
detto, va da se che non esistono tecnologie assolutamente sicure che ci
confortino con un livello di “rischio zero”. Allora per quale motivo dovremmo
utilizzarne alcune e scartarne altre? Mi rendo conto che ai più potrà sembrare
barbaro ma, la discriminante è semplicemente il numero di vittime che tale
tecnologia può provocare in caso di incidente. Mi spiego meglio introducendo
alcuni esempi.
Se si rompe il cavo
che tiene sospeso un paracadutista al suo paracadute, quante vittime si possono
provocare? Risposta: UNA!
Se si rompe la
rubinetteria della bombola di un subacqueo che è immerso a parecchi metri
sott’acqua, quante vittime si possono provocare? Risposta: UNA!
Se si verifica una
rottura al sistema frenante di un’automobile, quante vittime si possono
provocare? Risposta: Nei casi più gravi, se vengono coinvolte altre auto o dei
passanti, anche qualche decina!
Se si verifica un
guasto ad un piccolo aereo biposto, quante vittime si possono provocare?
Risposta: Nei casi più gravi, se il veivolo precipita in un luogo abitato,
anche parecchie decine, forse centinaia.
Se si verifica un
guasto ad grosso aereo di linea con diverse centinaia di passeggeri a bordo,
quante vittime si possono provocare? Risposta: Nei casi più gravi, se il
veivolo precipita in un luogo abitato, parecchie centinaia, forse qualche
migliaio.
E se crolla un ponte?
O un palazzo? E se affonda una nave passeggeri?
Se poi tali eventi si
verificano non per un incidente ma per volontà dell’uomo, come accade nel caso
di attacchi terroristici, la “probabilità che l’evento si verifichi” segue
ovviamente altre logiche, difficilmente prevedibili, anche in termini
probabilistici.
Che cosa cambia nei
vari esempi appena fatti?
E’ cambiata
semplicemente la portata delle conseguenze a cui si va incontro in caso di
incidente! In tutti i casi citati non si ha la certezza che l’evento non accada
ma, al contrario, si è consapevoli del fatto che l’evento possa verificarsi e
che in tal caso si avranno delle vittime. Tanto maggiore è la portata del
danno, tanto minore è il rischio che viene accettato in fase di progettazione/manutenzione.
L’accuratezza che si pone nella manutenzione delle parti meccaniche di una
automobile non è la stessa che si pone nella manutenzione delle parti
meccaniche di un aereo passeggeri. I coefficienti di sicurezza utilizzati nel
dimensionamento di una importante struttura (ponte, diga, edificio, ecc. …) non
sono gli stessi che si utilizzano nel dimensionamento del telaio di un
ciclomotore. Tutto ciò può sembrare barbaro ai profani ma è il frutto di scelte
di differenti livelli di sicurezza da adottare in funzione del numero di
vittime che si rischia di produrre in caso di incidente!
§
Veniamo ora al
problema del nucleare.
In caso di incidente
in una centrale nucleare quante vittime si possono provocare, considerando
anche coloro che nel corso dei decenni successivi subiranno gli effetti
posticipati ed indiretti dell’incidente?
Beh, forse
basterebbero pochi gravi incidenti in aree diverse del pianeta per modificare
completamente la vita sullo stesso, con conseguenze disastrose di difficile
immaginazione.
Oltre agli incidenti
dovuti agli errori del’uomo, consideriamo ora il caso (purtroppo tutt’altro che
irreale) di attentati terroristici (11 settembre docet). Una centrale nucleare
(o alcune contemporaneamente) che vengono fatte oggetto di attentati terroristici
provocherebbero un numero così elevato di vittime ed uno stravolgimento della
vita sul pianeta le cui conseguenze sfuggono a tutti e non sono quindi del
tutto prevedibili!
Certo, diranno in
tanti, ma quando gli USA e l’URSS si “sfidavano freddamente” a suon di testate
nucleari, il pericolo era simile, forse anche maggiore. Vero! Inoltre il
pericolo, sia pure molto più contenuto, è ancora elevato, infatti non
conosciamo né il potenziale residuo, né altre informazioni circa l’ubicazione.
Oggi inoltre, sono tante le nazioni che possiedono armamenti bellici di tipo
nucleare, quindi, sia pure per altre vie e con altri utilizzi, il pericolo di
disastro nucleare è sempre reale. Ma questo è un altro problema che segue altre
logiche e, ad ogni modo, non può essere una motivazione valida per giustificare
l’accettazione di ulteriori rischi.
§
Ecco, tornando al
problema delle centrali nucleari, io credo che questa breve riflessione possa
aiutarci a valutare meglio il rischio al quale si va incontro in caso di
incidente (remoto) o di atto terroristico (purtroppo più probabile) che
coinvolga una centrale nucleare. Ciò che ne deriva non giustifica, a mio
avviso, la scelta di utilizzo dell’energia nucleare.
Va anche detto che
l’abbandono del nucleare da parte di una nazione, a poco serve se la maggior
parte delle altre nazioni, magari confinanti, lo adottano. Ma questa non può
essere la discriminante! Semmai potrebbe essere un primo passo da compiere per
dare il “la” con la speranza che in futuro siano sempre più numerosi i Paesi
che decideranno di abbandonare tale tecnologia e di investire maggiormente su
altre fonti energetiche.
§
Alla luce del recente
esito referendario che, per la seconda volta in Italia, fa propendere gli
italiani per la scelta di diniego all’utilizzo di centrali nucleari, mi sorge
però spontanea una riflessione:
La nostra nazione dovrà dimostrare di essere all’altezza della
situazione decidendo di investire massicciamente nello studio delle fonti di
energia alternativa, sia in termini di perfezionamento di quelle esistenti che
nella sperimentazione di nuove. Credo infatti che solamente in tal modo la
scelta matura e coraggiosa che gli italiani hanno appena manifestato alle urne,
possa essere realmente di input per l’avvio di un processo virtuoso che
attualmente vede l’Italia come capofila in una scelta non facile ed i cui esiti
sono ancora incerti e nebulosi. Ora c’è infatti da superare la sfida più
difficile!
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