martedì 14 giugno 2011

Nucleare: l’inesistenza del “rischio zero”

Pubblicato in data 14 giugno 2011 nel blog: http://giorgiosaba.blog.tiscali.it/




Il dilemma delle centrali nucleari, della loro sicurezza e della loro affidabilità, ci viene sovente esposto come legato in maniera indissolubile alla “tipologia tecnologica” delle centrali stesse (di prima, di seconda, di terza generazione…). Tutto ciò è indubbiamente realistico, ma viene abilmente utilizzato dai politici, pro o contro il nucleare, per sostenerne o criticarne la necessità; il tutto credo avvenga (almeno in questo caso) in ragionevole buona fede.
Ma come può il cittadino avere una propria opinione sul reale pericolo del fenomeno se poi anche gli esperti hanno spesso pareri contrastanti? Per rendersene conto è sufficiente andare su internet e visionare la miriade di articoli, interviste e videointerviste anche a studiosi di sicura competenza nel merito per scoprire l’assoluta discrepanza dei loro pareri.
E allora che fare? A chi credere? Che provvedimento adottare per il bene del Paese (e del mondo intero…)?
Premesso che se anche non avessimo altri elementi di paragone, il fatto stesso di non averli dovrebbe essere, a mio avviso, elemento di diniego all’utilizzo del nucleare. Tutto ciò almeno fino a nuovi studi scientifici che ci facciano propendere, grazie alle migliori conoscenze, verso l’opportunità di utilizzo o di abolizione definitiva.
Vorrei in questa sede tentare di fare il punto della situazione, senza farmi trascinare dall’emotività che deriva dagli eventi recenti, cercando di esprimere un parere scevro da dannose presunzioni e aperto alle critiche costruttive.
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In tutti i processi industriali e in tutti i prodotti della tecnologia avvengono dei progressivi miglioramenti costruttivi che derivano dai nuovi studi e che vertono, ovviamente, anche e soprattutto nell’esame delle esperienze (positive o negative) del funzionamento dei modelli “precedenti”. In estrema sintesi tutto ciò rappresenta “banalmente” l’evolversi della tecnologia!
Gli esempi sono un’infinità in tutti i campi della tecnologia. Per citarne uno pensiamo ai progressi raggiunti in campo aeronautico dai tempi dei fratelli Wright ad oggi. Quante inevitabili vittime vi sono state però in quel settore?
Verrebbe da chiedersi se e quando finisce la sperimentazione e se e quando possiamo considerare un prodotto definitivamente sicuro. La risposta, mi spiace deludere i lettori, è: MAI!
Prima di spiegare questo aspetto, sicuramente controverso che starà facendo sobbalzare sulla sedia anche qualche esperto e tanti sedicenti tali, voglio però raccontarvi una breve storiella.
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Tanti anni fa, quando ero un giovane studente universitario, alla prima lezione di un corso specialistico, si presentò in aula il docente che noi tutti conoscemmo per la prima volta. Nel suo discorso introduttivo alla disciplina a noi ancora sconosciuta, pronunciò una frase che lasciò di stucco un po’ tutti noi, studenti eredi di un biennio durissimo con un imprinting a vocazione fortemente matematica, con una mente non ancora rimodellata dagli insegnamenti che caratterizzano la mentalità tipicamente ingegneristica. Insomma, eravamo ragazzi abituati a pensare in modo razionale, dove due più due era pari a quattro e tanto bastava. Ecco, questo eravamo. Il docente ad un certo punto pronunciò una frase che, semplificata, poteva riassumersi così:
“Se non capitasse mai un incidente aereo, se non affondasse mai nessuna nave, se non crollasse mai alcun ponte, significherebbe che noi ingegneri non abbiamo capito molto dei metodi di calcolo che utilizziamo”.
Noi tutti restammo sbigottisti, convinti come eravamo che il prodotto tecnologico derivante da rigorosi studi scientifici fosse “sicuro” per antonomasia. In realtà il nostro buon docente, con la sua espressione un po’ “ad effetto” volle solamente prepararci all’introduzione del concetto di probabilità e di “rischio accettabile” che, sia pure con modalità anche molto differenti fra loro, interessa sempre le metodologie di calcolo, praticamente in tutti i campi della tecnologia.
Niente paura, non intendo certo dilungarmi in tali disquisizioni scientifiche e probabilistiche, ma voglio solamente prender spunto dalla frase del professore per chiarire un concetto, lasciato in sospeso qualche riga sopra, dove dicevo che un prodotto non possa definirsi MAI definitivamente sicuro.
Tutto ciò ha un senso ed una sua valenza se ci mettiamo d’accordo sul significato dell’aggettivo “sicuro”. Se, come credo avvenga nella mente di tanti, il concetto di sicurezza rappresenta la “certezza matematica” che un evento non accada mai, allora non esistono e non esisteranno mai tecnologie e prodotti assolutamente “sicuri”! Se accettiamo che vi sia una probabilità, sia pure remota, in alcuni casi remotissima, che un evento si verifichi, allora abbiamo adattato il concetto di sicurezza ad un mondo reale, siamo passati da un concetto puramente teorico ad un’applicazione pratica, con tutte le implicazioni scientifiche che ciò comporta.
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Alla luce di quanto detto, va da se che non esistono tecnologie assolutamente sicure che ci confortino con un livello di “rischio zero”. Allora per quale motivo dovremmo utilizzarne alcune e scartarne altre? Mi rendo conto che ai più potrà sembrare barbaro ma, la discriminante è semplicemente il numero di vittime che tale tecnologia può provocare in caso di incidente. Mi spiego meglio introducendo alcuni esempi.
Se si rompe il cavo che tiene sospeso un paracadutista al suo paracadute, quante vittime si possono provocare? Risposta: UNA!
Se si rompe la rubinetteria della bombola di un subacqueo che è immerso a parecchi metri sott’acqua, quante vittime si possono provocare? Risposta: UNA!
Se si verifica una rottura al sistema frenante di un’automobile, quante vittime si possono provocare? Risposta: Nei casi più gravi, se vengono coinvolte altre auto o dei passanti, anche qualche decina!
Se si verifica un guasto ad un piccolo aereo biposto, quante vittime si possono provocare? Risposta: Nei casi più gravi, se il veivolo precipita in un luogo abitato, anche parecchie decine, forse centinaia.
Se si verifica un guasto ad grosso aereo di linea con diverse centinaia di passeggeri a bordo, quante vittime si possono provocare? Risposta: Nei casi più gravi, se il veivolo precipita in un luogo abitato, parecchie centinaia, forse qualche migliaio.
E se crolla un ponte? O un palazzo? E se affonda una nave passeggeri?
Se poi tali eventi si verificano non per un incidente ma per volontà dell’uomo, come accade nel caso di attacchi terroristici, la “probabilità che l’evento si verifichi” segue ovviamente altre logiche, difficilmente prevedibili, anche in termini probabilistici.
Che cosa cambia nei vari esempi appena fatti?
E’ cambiata semplicemente la portata delle conseguenze a cui si va incontro in caso di incidente! In tutti i casi citati non si ha la certezza che l’evento non accada ma, al contrario, si è consapevoli del fatto che l’evento possa verificarsi e che in tal caso si avranno delle vittime. Tanto maggiore è la portata del danno, tanto minore è il rischio che viene accettato in fase di progettazione/manutenzione. L’accuratezza che si pone nella manutenzione delle parti meccaniche di una automobile non è la stessa che si pone nella manutenzione delle parti meccaniche di un aereo passeggeri. I coefficienti di sicurezza utilizzati nel dimensionamento di una importante struttura (ponte, diga, edificio, ecc. …) non sono gli stessi che si utilizzano nel dimensionamento del telaio di un ciclomotore. Tutto ciò può sembrare barbaro ai profani ma è il frutto di scelte di differenti livelli di sicurezza da adottare in funzione del numero di vittime che si rischia di produrre in caso di incidente!
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Veniamo ora al problema del nucleare.
In caso di incidente in una centrale nucleare quante vittime si possono provocare, considerando anche coloro che nel corso dei decenni successivi subiranno gli effetti posticipati ed indiretti dell’incidente?
Beh, forse basterebbero pochi gravi incidenti in aree diverse del pianeta per modificare completamente la vita sullo stesso, con conseguenze disastrose di difficile immaginazione.
Oltre agli incidenti dovuti agli errori del’uomo, consideriamo ora il caso (purtroppo tutt’altro che irreale) di attentati terroristici (11 settembre docet). Una centrale nucleare (o alcune contemporaneamente) che vengono fatte oggetto di attentati terroristici provocherebbero un numero così elevato di vittime ed uno stravolgimento della vita sul pianeta le cui conseguenze sfuggono a tutti e non sono quindi del tutto prevedibili!
Certo, diranno in tanti, ma quando gli USA e l’URSS si “sfidavano freddamente” a suon di testate nucleari, il pericolo era simile, forse anche maggiore. Vero! Inoltre il pericolo, sia pure molto più contenuto, è ancora elevato, infatti non conosciamo né il potenziale residuo, né altre informazioni circa l’ubicazione. Oggi inoltre, sono tante le nazioni che possiedono armamenti bellici di tipo nucleare, quindi, sia pure per altre vie e con altri utilizzi, il pericolo di disastro nucleare è sempre reale. Ma questo è un altro problema che segue altre logiche e, ad ogni modo, non può essere una motivazione valida per giustificare l’accettazione di ulteriori rischi.
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Ecco, tornando al problema delle centrali nucleari, io credo che questa breve riflessione possa aiutarci a valutare meglio il rischio al quale si va incontro in caso di incidente (remoto) o di atto terroristico (purtroppo più probabile) che coinvolga una centrale nucleare. Ciò che ne deriva non giustifica, a mio avviso, la scelta di utilizzo dell’energia nucleare.
Va anche detto che l’abbandono del nucleare da parte di una nazione, a poco serve se la maggior parte delle altre nazioni, magari confinanti, lo adottano. Ma questa non può essere la discriminante! Semmai potrebbe essere un primo passo da compiere per dare il “la” con la speranza che in futuro siano sempre più numerosi i Paesi che decideranno di abbandonare tale tecnologia e di investire maggiormente su altre fonti energetiche.
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Alla luce del recente esito referendario che, per la seconda volta in Italia, fa propendere gli italiani per la scelta di diniego all’utilizzo di centrali nucleari, mi sorge però spontanea una riflessione:
La nostra nazione dovrà dimostrare di essere all’altezza della situazione decidendo di investire massicciamente nello studio delle fonti di energia alternativa, sia in termini di perfezionamento di quelle esistenti che nella sperimentazione di nuove. Credo infatti che solamente in tal modo la scelta matura e coraggiosa che gli italiani hanno appena manifestato alle urne, possa essere realmente di input per l’avvio di un processo virtuoso che attualmente vede l’Italia come capofila in una scelta non facile ed i cui esiti sono ancora incerti e nebulosi. Ora c’è infatti da superare la sfida più difficile!

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