mercoledì 26 gennaio 2011

Sicurezza cantieri (parte 1): l’atteggiamento dei lavoratori

Pubblicato in data 26 gennaio 2011 nel blog: http://giorgiosaba.blog.tiscali.it/



Da tanti anni mi occupo a tempo pieno dell’organizzazione e della direzione tecnica dei cantieri, gestendo l’intero iter costruttivo. Mi interesso inevitabilmente anche della gestione della sicurezza, organizzando le lavorazioni e vigilando sul loro svolgimento.
Ho elaborato una mia idea su perché si continui a morire nei luoghi di lavoro e ho maturato una personale convinzione in merito alle responsabilità, credo scevra da preconcetti e luoghi comuni. Sono sempre disponibile all’analisi critica ed al confronto.
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Tutti parlano di sicurezza nei luoghi di lavoro, troppi si riempiono la bocca di facili giudizi; i legislatori producono una infinità di norme spesso complesse e non sempre applicabili nella realtà dei fatti. In caso di infortuni i magistrati applicano in maniera severa le leggi, i sindacati sbraitano dall’alto dei loro comodi pulpiti, i politici partecipano ai talk show e si uniformano alle convinzioni comuni, utili solo per il loro consenso. Tutti puntano il dito sempre contro gli stessi presunti responsabili. L’opinione pubblica viene indirizzata verso un’unica direzione.
Ma sarà tutto così giusto? Veramente si possono separare in maniera netta i buoni dai cattivi? Il sistema è corretto? E’ perfettibile? Oppure è totalmente inadeguato? In questo mondo di sedicenti sapienti è fin troppo facile diventare bersaglio di coloro che con l’utilizzo distorto dei media deformano le notizie, con prese di posizione alimentate dalla non conoscenza reale del fenomeno.
In questa sede non voglio affrontare l’argomento nella sua generalità, che per complessità e vastità non è riducibile a qualche paginetta di appunti. Magari questo potrebbe essere solamente un primo spunto di riflessione da condividere con coloro che possiedono l’onestà intellettuale per ragionare senza condizionamenti esterni e senza paure di andare contro corrente.
Approfitterò quindi di questa occasione per richiamare un fatto e proporre una semplice riflessione.
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Qualche tempo fa, a seguito di un incidente in un luogo di lavoro, una televisione locale mandò in onda le interviste ai soliti presunti esperti, i quali, a poche ore dall’accaduto, ancor prima che la magistratura e la PG svolgessero le indagini di rito, avevano già la loro lista di colpevoli. In particolare mi colpì la frase pronunciata da un funzionario di uno degli enti che si occupano di infortuni sul lavoro, prontamente condivisa da tutti i presenti (politici, sindacati, funzionari), quasi avessero timore di stare fuori dal coro. La frase che suscitò il mio disappunto si poteva riassumere così:
«Quando accadono gli incidenti sul lavoro, la colpa non può mai ricondursi al lavoratore, neppure in concorso, ma è sempre riconducibile al datore di lavoro e ai suoi delegati».
Fin qui la mia disapprovazione fu solamente parziale, ritenendo che nessuno sia esente da responsabilità per “partito preso” ma che le stesse debbano essere vagliate e contestualizzate. La mia insofferenza divenne però indignazione quando fece seguito la motivazione che venne sostenuta a giustificazione di quanto affermato. Il funzionario quindi proseguì:
«Infatti non si capisce per quale motivo un lavoratore dovrebbe assumere atteggiamenti da incosciente, che mettano a rischio la propria incolumità. E’ assolutamente inverosimile che questo possa accadere. Il lavoratore non può che svolgere in maniera responsabile la propria mansione, perché nessuno metterebbe inutilmente in pericolo la propria vita; quando ciò accade esistono sempre delle coercizioni esterne».
Ebbene, questa affermazione, apparentemente di poco impatto e forse per tanti ragionevole e di buon senso, a me apparve subito come una provocazione, dettata dalla presunzione, dalla voglia di contestare e da una visione molto limitata dei fatti. O forse solamente dall’ingenuità e dalla buona fede. Comunque sia è sintomatico di un sistema che non funziona, se coloro che si occupano del problema siano così poco attenti a ciò che accade.
Ma veniamo a noi. Pur convinto dell’infondatezza di tale tesi, non mi dilungherò in contestazioni. Ma poiché sono convinto che sia il buon senso la prima regola da seguire, mi limiterò ad esprimere solamente un ragionevole dubbio. Ognuno di voi si dia la risposta che ritiene più opportuna:
Assistiamo quotidianamente a numerosi episodi ad opera di cittadini che vivono le nostre città come il far west. Si pensi, solo per citare dei casi noti a tutti, a cosa accade ad esempio sulle nostre strade. Mi riferisco a quegli individui che si mettono alla guida delle loro auto dopo aver bevuto un bicchiere di troppo o dopo aver fatto uso di droghe (coscienti dei rischi che corrono?). Penso ancora a coloro che pur essendo sobri guidano a velocità pazzesche, o comunque assumono atteggiamenti sconsiderati, disattendendo completamente il codice della strada. Questi personaggi dimostrano incoscienza e disprezzo per le regole e mettono in pericolo l’incolumità propria e quella degli altri; magari per presunzione, sottovalutando il rischio, o per prepotenza e stupidità. Ad ogni modo costoro assumono degli atteggiamenti folli, incuranti totalmente delle conseguenze che ne possono derivare. Gli eventi sono sotto gli occhi di tutti.
Ecco, coloro, quando si trovano sul luogo di lavoro, diventano all’improvviso dei cittadini seri, rispettosi e ligi ai loro doveri? Si comportano in maniera consapevole valutando con il buon senso e la ragione il pericolo? Seguiranno scrupolosamente le disposizioni impartite da coloro che hanno il compito di vigilare? Oppure continueranno ad assumere comportamenti a rischio perché ciò fa parte del loro atteggiamento abituale? Dimostreranno incoscienza solamente al di fuori dell’orario di lavoro, oppure è verosimile ritenere che il loro modo di fare non distingua fra lavoro e vita privata?
Io penso che la risposta sia scontata; così pure il commento alla frase pronunciata dal funzionario.
Ritengo basti questa riflessione per comprendere che uno stato civile e maturo, che intenda realmente affrontare i problemi piuttosto che fingere di farlo, non possa fossilizzarsi su convinzioni faziose e di comodo.
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Agli inizi della mia professione, un collega più esperto di me, mi disse che, per assicurare il rispetto delle disposizioni di sicurezza impartite, nei cantieri non sarebbero sufficienti i tecnici ma occorrerebbe l’esercito in assetto di guerra. Affermò che il sistema legislativo persegue sempre coloro che sono deputati al controllo, senza eccezioni. Secondo lui sarebbe come sostenere, per assurdo, che per gli incidenti automobilistici che avvengono in autostrada venissero perseguiti gli agenti della Polstrada per non aver vigilato.
Quelle del collega erano solamente delle battute provocatorie che avevano il fine di sdrammatizzare una situazione pesante e mal digerita da chi fa il nostro mestiere. Oggi le sue lamentele mi appaiono più comprensibili. Infatti dopo tanti anni di lavoro ho riscontrato che la difficoltà maggiore nei cantieri non è quasi mai di natura esecutiva od organizzativa, né amministrativa o gestionale, ma è la vigilanza nell’ambito della sicurezza. Nonostante gli impegni delle aziende, sia con la doverosa formazione dei lavoratori, che con la vigilanza continua, poco si ottiene con coloro che adottano un modus operandi spaccone ed irriverente. Essi continuano ad assumere atteggiamenti a rischio, cercando sempre di eludere la sorveglianza e agire a modo loro, in barba alle disposizioni anche più rigide!
Di questo purtroppo non si tiene mai conto. Al contrario. La campagna mediatica relativa agli incidenti sul lavoro e la tendenza giurisprudenziale, viaggiano in una sola direzione: vengono perseguiti quasi esclusivamente coloro che sono deputati a vigilare senza mai tenere conto dell’impossibilità di ottenere dei risultati a fronte degli atteggiamenti sconsiderati di alcuni lavoratori.
Meditiamo…