Purtroppo, capita
spesso a tutti noi di assistere attoniti alle notizie dei media che ci
informano di varie tragedie che si sono consumate in qualche parte del mondo.
Secondo una vecchia regola, tanto più l’evento è vicino, tanto più suscita la
nostra meraviglia e risveglia in noi sentimenti di compassione e di interesse.
Spesso queste emozioni vengono ridotte e livellate dalla mole di informazioni
che ci vengono trasmesse, sempre più numerose, diffuse e continue, creando una
sorta di assuefazione mediatica.
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Poco più di sette anni
fa (per l’esattezza era aprile del 2009) una parte dell’Abruzzo ed in
particolare il suo capoluogo furono sconvolti da un terremoto dalle conseguenze
devastanti che produsse nell’immediato 309 vittime. Un’intera città, vivace e
dinamica, con un centro storico meravigliosamente bello e vivo, fu trasformata
completamente dall’evento, annientata e messa in ginocchio, costretta ad
intraprendere il percorso della ricostruzione, con la speranza ed il tentativo
di tornare presto alla normalità. Dopo sette anni la ricostruzione dell’Aquila
è ancora in corso e la città presenta tutt’ora evidenti ferite che richiedono
ancora tanto impegno e tempo.
Agli inizi di
quest’anno il mio lavoro mi ha visto coinvolto in questo processo di mega
ricostruzione, lento e laborioso, dove ognuno di noi, a vario titolo, dà un
piccolo contributo affinché la città possa tornare, pienamente, a vivere. Impegnato
profondamente e con dedizione alla ricostruzione di un tassello della città,
non ho potuto non notare ed apprezzare la dignità silenziosa degli Aquilani, la
speranza di riacquistare la serenità perduta e la forza d’animo con la quale
hanno coraggiosamente tentato di riprendersi la propria vita. Credo che,
qualunque sia il mio futuro, lavorativo e personale, non potrò mai scordare
questo grande insegnamento di un popolo che, colpito da una tragedia abnorme ha
lottato silenziosamente per un ritorno alla vita normale.
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Siamo ormai abituati
al fatto che le tragedie si ripetono e che, in particolare, gli eventi sismici
nel nostro Paese sono una consuetudine. Purtroppo la notte del 24 agosto, a
circa cinquanta chilometri da L’Aquila, c’è stato l’epicentro di un altro
devastante terremoto. Io stesso ne sono stato testimone, abbastanza distante da
non subire conseguenze, svegliato in piena notte da un vibrare inquietante di
pavimento e mobili. Non vi descriverò le mie sensazioni del momento, di sicura
impressione, per rispetto dei tantissimi aquilani che ho conosciuto in questa
magica città, i quali hanno vissuto la tragedia del 2009 e mi hanno raccontato
emozioni, sensazioni e paure di allora, ovviamente neppure lontanamente
paragonabili alla mia.
Ma torniamo a noi.
Infatti non voglio carpire la vostra attenzione sulla mia esperienza aquilana,
né voglio soffermarmi su dettagli tecnici che hanno arricchito il mio
patrimonio di conoscenza professionale, ma vorrei semplicemente parlare di come
l’essere umano interpreta, distorce e adatta la realtà che gli si prospetta.
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Al verificarsi delle
tragedie, come sempre accade, si risvegliano i pseudo-tuttologi, sedicenti
esperti che non esitano a divulgare la loro presunta scienza infusa su
argomenti di più disparata natura. Ecco che allora i giudizi, le sentenze da
bar e le critiche all’operato di chicchessia si ergono con magnanimità nei
confronti di tutti. Coloro hanno una soluzione per tutto e non esitano a
sputare giudizi ed opinioni folli.
Ricordo che in
occasione del terremoto dell’Aquila, un personaggio che ricopriva un’importante
posizione pubblica, per la quale avrebbe fatto meglio ad esimersi da rilasciare
interviste a caldo sull’argomento, raccontò in TV che “gli avrebbero riferito”
che in alcuni casi le opere in cemento armato sarebbero crollate perché il
calcestruzzo sarebbe stato confezionato con l’acqua di mare! Orbene, io non
credo sia necessario essere dei tecnici per capire che queste dicerie
(probabilmente mezzo secolo fa in parte vere) vadano contestualizzate e
valutate di volta in volta. Infatti L’Aquila dista quasi due ore dalla costa e
portare l’acqua di mare per confezionare il calcestruzzo sarebbe stato
decisamente molto più costoso che utilizzare quella potabile! Ergo, neppure
l’ultimo degli imprenditori, per quanto lo si voglia immaginare delinquente,
farebbe una cosa del genere! E allora perché parlare tanto per dar fiato alle
corde vocali? Ancor meno nel caso in cui si ricopre un ruolo pubblico di alto
livello e si rischia di essere visti da tanti come un punto di riferimento!
Recentemente, dopo il
sisma del centro Italia, un noto personaggio televisivo ha spergiurato, in
un’intervista, che adeguare gli edifici esistenti, rendendoli sicuri nei
confronti dei terremoti, avrebbe un costo di circa 200 €/mq. Ma che significa?
Intanto è sciocco parlare in generale (citando delle medie? E se anche fosse
una media, studiata da chi? In che modo e in quali situazioni?). Vi sono dei
casi (certo, non frequentissimi) in cui per adeguare un edificio è praticamente
meglio demolirlo che ricostruirlo, in altri si possono avere costi unitari
anche esageratamente alti, difficilmente immaginabili da un profano (pensate ad
esempio ad un pregiato edificio storico); altre volte adeguare una semplice
abitazione, anche di fattezze costruttive banali, può costare qualche migliaio
di €/mq. E vi sono ovviamente delle situazioni nelle quali il costo unitario è
simile a quello dichiarato dal nostro fenomeno in TV. Ma allora con quale
criterio scientifico ci si permette di sciorinare idiozie pure utilizzando in
malo modo i media, soprattutto approfittando della loro notorietà pubblica?
Di certo non vi
tedierò con l’immenso elenco di situazioni in cui sono state riferite simili
informazioni, che negli ultimi tempi si moltiplicano in maniera esponenziale.
Costoro non si rendono
conto dell’impatto mediatico che suscitano e della cattiva informazione che
divulgano. Io non obbietto sulla loro buona fede, ma dovrebbero comprendere che
le notizie vanno date in maniera completa (se le conoscono), altrimenti è
meglio tacere per evitare di confondere i destinatari delle loro elucubrazioni.
Insomma, il principio
è sempre lo stesso: scambiarsi opinioni folli va bene al bar, ma quando si
ricoprono dei ruoli di evidente impatto mediatico sarebbe meglio evitare di
divulgare il proprio pensiero, soprattutto se non si hanno le idee chiare nel
merito (ma tant’è che più si ignora e più si ritiene di conoscere).
Parafrasando un vecchio detto, mi verrebbe da dire: “chi sa fa, chi non sa va
in TV a dire sciocchezze”!
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Ma, tralasciando la
disinformazione, ad opera di questo o quel personaggio più o meno noto, la
principale polemica che imperversa in questo periodo riguarda la mancata
prevenzione, i mancati “miracoli” da parte di tecnici, amministratori, imprese
e proprietari, l’accusa feroce ad opera di mandrie di solerti inetti che
sciorinano insulti verso tutti. Sì, infatti, come sempre accade dopo una
tragedia verificatasi a seguito di un evento naturale (sisma piuttosto che
alluvione od altro) parte nell’immediato, lenta ed inesorabile, la ricerca al
colpevole.
Più che giusto,
diciamo tutti noi in coro, se qualcuno ha sbagliato deve pagare, chi non
sarebbe d’accordo?
Ma ciò che sconvolge
non è la pretesa di giustizia, dovuta e sacrosanta, ma piuttosto la certezza di
aver individuato a priori il colpevole, interpretando in maniera confusionale i
fatti e citando interpretazioni normative senza neppure sapere di cosa si
parli.
Il mio fine non è
quello di fomentare polemiche, accrescendo il già numeroso esercito di coloro
che parlano ma, semmai, meditare sul fatto che il nostro bellissimo Paese è
strano; noi italiani siamo gente dal cuore d’oro ma abbiamo la presunzione di
conoscere e di saper fare, retaggio di un glorioso passato. E intanto, parliamo
di ciò che non sappiamo , riempiendoci la bocca di frasi ad effetto, aizzando
inutilmente le folle, conquistando i consensi di mandrie incapaci di pensiero
proprio.
Quando accadono simili
tragedie, sarebbe necessario che ognuno di noi smettesse di ergersi a giudice
ma facesse, più semplicemente, ciò che sa fare rispettando sempre il dolore
delle vittime. Diffondere opinioni non supportate da conoscenze scientifiche e certe,
è dannoso non soltanto per chi ascolta ma anche per le categorie che
rappresentano. Cavalcare la popolarità trasferendo informazioni tendenziose è
controproducente e pericoloso per l’immagine del nostro Paese e mette in
discussione il diritto di giustizia.
Piuttosto che alimentare inutili discussioni forse sarebbe più opportuno
pensare di più e parlare di meno: diversamente qualunque catastrofe diventerà
banalmente una tragedia come un’altra.