Da tanti anni mi
occupo a tempo pieno dell’organizzazione e della direzione tecnica dei
cantieri, gestendo l’intero iter costruttivo. Mi interesso inevitabilmente
anche della gestione della sicurezza, organizzando le lavorazioni e vigilando
sul loro svolgimento.
Ho elaborato una mia idea su perché si continui a morire nei luoghi di
lavoro e ho maturato una personale convinzione in merito alle responsabilità,
credo scevra da preconcetti e luoghi comuni. Sono sempre disponibile
all’analisi critica ed al confronto.
§
Tutti parlano di sicurezza nei luoghi di lavoro, troppi si riempiono la
bocca di facili giudizi; i legislatori producono una infinità di norme spesso
complesse e non sempre applicabili nella realtà dei fatti. In caso di infortuni
i magistrati applicano in maniera severa le leggi, i sindacati sbraitano
dall’alto dei loro comodi pulpiti, i politici partecipano ai talk show e si
uniformano alle convinzioni comuni, utili solo per il loro consenso. Tutti
puntano il dito sempre contro gli stessi presunti responsabili. L’opinione
pubblica viene indirizzata verso un’unica direzione.
Ma sarà tutto così giusto? Veramente si possono separare in maniera netta i
buoni dai cattivi? Il sistema è corretto? E’ perfettibile? Oppure è totalmente
inadeguato? In questo mondo di sedicenti sapienti è fin troppo facile diventare
bersaglio di coloro che con l’utilizzo distorto dei media deformano le notizie,
con prese di posizione alimentate dalla non conoscenza reale del fenomeno.
In questa sede non voglio affrontare l’argomento nella sua generalità, che
per complessità e vastità non è riducibile a qualche paginetta di appunti.
Magari questo potrebbe essere solamente un primo spunto di riflessione da
condividere con coloro che possiedono l’onestà intellettuale per ragionare senza
condizionamenti esterni e senza paure di andare contro corrente.
Approfitterò quindi di questa occasione per richiamare un fatto e proporre
una semplice riflessione.
§
Qualche tempo fa, a seguito di un incidente in un luogo di lavoro, una
televisione locale mandò in onda le interviste ai soliti presunti esperti, i
quali, a poche ore dall’accaduto, ancor prima che la magistratura e la PG
svolgessero le indagini di rito, avevano già la loro lista di colpevoli. In
particolare mi colpì la frase pronunciata da un funzionario di uno degli enti
che si occupano di infortuni sul lavoro, prontamente condivisa da tutti i
presenti (politici, sindacati, funzionari), quasi avessero timore di stare
fuori dal coro. La frase che suscitò il mio disappunto si poteva riassumere
così:
«Quando accadono gli incidenti sul lavoro, la colpa non può mai
ricondursi al lavoratore, neppure in concorso, ma è sempre riconducibile al
datore di lavoro e ai suoi delegati».
Fin qui la mia disapprovazione fu solamente parziale, ritenendo che nessuno
sia esente da responsabilità per “partito preso” ma che le stesse debbano
essere vagliate e contestualizzate. La mia insofferenza divenne però
indignazione quando fece seguito la motivazione che venne sostenuta a
giustificazione di quanto affermato. Il funzionario quindi proseguì:
«Infatti non si capisce per quale motivo un lavoratore dovrebbe assumere
atteggiamenti da incosciente, che mettano a rischio la propria incolumità. E’
assolutamente inverosimile che questo possa accadere. Il lavoratore non può che
svolgere in maniera responsabile la propria mansione, perché nessuno metterebbe
inutilmente in pericolo la propria vita; quando ciò accade esistono sempre
delle coercizioni esterne».
Ebbene, questa affermazione, apparentemente di poco impatto e forse per
tanti ragionevole e di buon senso, a me apparve subito come una provocazione,
dettata dalla presunzione, dalla voglia di contestare e da una visione molto
limitata dei fatti. O forse solamente dall’ingenuità e dalla buona fede.
Comunque sia è sintomatico di un sistema che non funziona, se coloro
che si occupano del problema siano così poco attenti a ciò che
accade.
Ma veniamo a noi. Pur convinto dell’infondatezza di tale tesi, non mi
dilungherò in contestazioni. Ma poiché sono convinto che sia il buon senso la
prima regola da seguire, mi limiterò ad esprimere solamente un ragionevole
dubbio. Ognuno di voi si dia la risposta che ritiene più opportuna:
Assistiamo quotidianamente a numerosi episodi ad opera di cittadini che
vivono le nostre città come il far west. Si pensi, solo per citare dei casi
noti a tutti, a cosa accade ad esempio sulle nostre strade. Mi riferisco a
quegli individui che si mettono alla guida delle loro auto dopo aver bevuto un
bicchiere di troppo o dopo aver fatto uso di droghe (coscienti dei rischi che
corrono?). Penso ancora a coloro che pur essendo sobri guidano a velocità
pazzesche, o comunque assumono atteggiamenti sconsiderati, disattendendo
completamente il codice della strada. Questi personaggi dimostrano incoscienza
e disprezzo per le regole e mettono in pericolo l’incolumità propria e quella
degli altri; magari per presunzione, sottovalutando il rischio, o per
prepotenza e stupidità. Ad ogni modo costoro assumono degli atteggiamenti
folli, incuranti totalmente delle conseguenze che ne possono derivare. Gli
eventi sono sotto gli occhi di tutti.
Ecco, coloro, quando si trovano sul luogo di lavoro, diventano
all’improvviso dei cittadini seri, rispettosi e ligi ai loro doveri? Si
comportano in maniera consapevole valutando con il buon senso e la ragione il
pericolo? Seguiranno scrupolosamente le disposizioni impartite da coloro che
hanno il compito di vigilare? Oppure continueranno ad assumere comportamenti a
rischio perché ciò fa parte del loro atteggiamento abituale? Dimostreranno
incoscienza solamente al di fuori dell’orario di lavoro, oppure è verosimile
ritenere che il loro modo di fare non distingua fra lavoro e vita privata?
Io penso che la risposta sia scontata; così pure il commento alla frase
pronunciata dal funzionario.
Ritengo basti questa riflessione per comprendere che uno stato civile e
maturo, che intenda realmente affrontare i problemi piuttosto che fingere di
farlo, non possa fossilizzarsi su convinzioni faziose e di comodo.
§
Agli inizi della mia professione, un collega più esperto di me, mi disse
che, per assicurare il rispetto delle disposizioni di sicurezza impartite, nei
cantieri non sarebbero sufficienti i tecnici ma occorrerebbe l’esercito in
assetto di guerra. Affermò che il sistema legislativo persegue sempre coloro
che sono deputati al controllo, senza eccezioni. Secondo lui sarebbe come
sostenere, per assurdo, che per gli incidenti automobilistici che avvengono in
autostrada venissero perseguiti gli agenti della Polstrada per non aver
vigilato.
Quelle del collega erano solamente delle battute provocatorie che avevano
il fine di sdrammatizzare una situazione pesante e mal digerita da chi fa il
nostro mestiere. Oggi le sue lamentele mi appaiono più comprensibili. Infatti
dopo tanti anni di lavoro ho riscontrato che la difficoltà maggiore nei
cantieri non è quasi mai di natura esecutiva od organizzativa, né
amministrativa o gestionale, ma è la vigilanza nell’ambito della sicurezza.
Nonostante gli impegni delle aziende, sia con la doverosa formazione dei lavoratori,
che con la vigilanza continua, poco si ottiene con coloro che adottano un modus
operandi spaccone ed irriverente. Essi continuano ad assumere atteggiamenti a
rischio, cercando sempre di eludere la sorveglianza e agire a modo loro, in
barba alle disposizioni anche più rigide!
Di questo purtroppo non si tiene mai conto. Al contrario. La campagna
mediatica relativa agli incidenti sul lavoro e la tendenza giurisprudenziale,
viaggiano in una sola direzione: vengono perseguiti quasi esclusivamente coloro
che sono deputati a vigilare senza mai tenere conto dell’impossibilità di
ottenere dei risultati a fronte degli atteggiamenti sconsiderati di alcuni
lavoratori.
Meditiamo…